Tema [paura?] della maturità
19 giugno 2014 – Riguardavo le tracce di italiano imposte ieri agli studenti che stanno affrontando l’esame di stato.Non voglio criticare nessuno.
Tema [paura?] della maturità
19 giugno 2014
Riguardavo le tracce di italiano imposte ieri agli studenti che stanno affrontando l’esame di stato.Non voglio criticare nessuno. Ho fatto appunto l’insegnante di lettere e ne conosco abbastanza gioie e frustrazioni, soprattutto le seconde. Non ho mai fatto il funzionario ministeriale, ma so che anche quella è una gabbia da cui l’individuo non può uscire da solo. Voglio solamente buttar lì un pensierino del giorno dopo.
Premetto che a me quella poesia piace. E se magari per qualcuno Quasimodo sta un gradino al di sotto di Ungaretti e Montale (non così per l’accademia del Nobel), i suoi versi irradiano calore; e non è poco. Ad una condizione: che si parli e s’intenda la stessa lingua. Perché, se è vero che Quasimodo scriveva in italiano, è anche vero che non basta essere italiani per essere in grado di afferrarne i significati. Che ne sappiamo noi metropolitani contemporanei di pozzi che scrosciano per la prima marea? Noi che abbiamo dismesso la parola affettuosa “fanciulli” per un anaffettivo (se non peggio) “bammbini” o “ragazzini”? Come tradurre in italiese d’oggi “Pietà della sera”? Se il solerte insegnante di lettere ha sottoposto questo testo agli studenti durante l’anno, avrà certamente annotato la paronomasia “dormono” [i fanciulli] e “d’orme” [di cavalle]; cose che in genere si notano solo in un secondo momento, dopo che ci siamo detti se una poesia ci piace o non ci piace. E poi “la gazza”. È ben vero che la natura (flora, fauna, paesaggio) è stata per secoli elemento forte dell’arte poetica. Pensiamo a Giovanni Pascoli e abbiamo già detto tutto. Ma poi…« Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).»
Così Pier Paolo Pasolini quarant’anni fa. Parole che stanno lì scolpite a segnare un confine fra chi è nato e si è formato prima, e chi è nato e si è formato dopo. E come la memoria delle lucciole o la sua assenza divide tragicamente le generazioni, altrettanto si può dire per le gazze, che esisteranno ancora, ma che non vediamo dalle nostre finestre o durante i nostri spostamenti in macchina. Il fatto è che neppure i responsabili del ministero vedono le gazze o le lucciole. Loro vivono in un mondo fatto di forme: giuridiche, pedagogiche, politiche… E quando decidono di fare i moderni, danno esiti risibili. Si prenda la traccia in cui si chiedeva di analizzare “criticamente” un articolo di Renzo Piano sul «Rammendo delle periferie». Sfido a trovare una scuola una in cui il tema delle periferie urbane sia stato trattato sotto l’aspetto del “rammendo”. Ma non è nemmeno questo il punto. Nelle righe di Piano si fa due volte riferimento al discorso dell’”eredità” da lasciare alle prossime generazioni. Ineccepibile per un articolo apparso sul quotidiano della Confindustria. Ma la commissione ministeriale ha trascurato il fatto che a commentare dovevano essere proprio gli eredi, quelli che la sera non vedono le lucciole e sulle gazze avran fatto chissà quante battute.
Carlo Loiodice