Lavoro in somministrazione? No grazie!
Siccome molti non lo sanno, ecco una notizia buona e una cattiva. Quella Buona. Il lavoro interinale non esiste più.
Lavoro in somministrazione? No grazie!
Siccome molti non lo sanno, ecco una notizia buona e una cattiva.
Quella Buona. Il lavoro interinale non esiste più.
Ma se state cominciando a saltare di gioia, fermatevi subito, poiché ecco la notizia cattiva, che si divide in due sottonotizie.
1. Quello che ieri si chiamava lavoro interinale oggi si chiama lavoro in somministrazione.
2. Codesto lavoro in somministrazione è andato crescendo nel terzo trimestre del 2013.
http://www.asca.it/news-Lavoro__in_crescita_nel_III_trim_2013_quello_in_somministrazione-1360618-ECO.html
Di professione non faccio né il sociologo né il sindacalista. Ho alle spalle una mediocre carriera di insegnante di lettere e quindi mi attirano particolarmente le parole. Nel caso specifico è la parola “Somministrazione” a darmi da pensare.
1. Se penso che la forma più conosciuta di somministrazione è quella dei sacramenti, particolarmente in punto di morte, mi vengono cattivi pensieri circa il destino della forza lavoro nel nostro paese.
2. Abbassando il livello di frivolezza, penso all’etimologia della parola. In latino “minister” indica, in un rapporto a due, la posizione del sottoposto (servo), da “minus” (meno), in contrapposizione a “magister”, da “magis” (più), che è la posizione del superiore gerarchico. Il “magister equitum” non era il maestro di equitazione bensì il comandante della cavalleria. E allora perché i ministri oggi comandano anziché ubbidire? Bella domanda! Il fatto è che quelle figure si chiamavano ministri quando erano in sottordine al re (“maiestas” da “magis”). Un nobile vecchio stampo potrebbe argomentare che tutti i guai sono cominciati quando i servi sono diventati padroni…
Ma veniamo alla somministrazione del lavoro. Ricorda in effetti una scena di tipo religioso o caritatevole: il prete (figura maggiore) che porge l’ostia al fedele (figura minore), oppure il monaco (oggi il volontario) che scodella la minestra (anche questa parola rientra nell’etimologia) all’indigente.
Vengono in mente le scene descritte nel romanzo di Valerio Evangelisti “Il sole dell’avvenire”, ambientato in Romagna nell’ultimo ventennio del XIX secolo. Ad affollare di mattina le piazze nei paesi in cerca di lavoro a giornata erano lavoratori precari. Ma allora questa parola politicamente corretta non si usava e si adoperavano termini più crudi per descriverli e armi più convenzionali per contrastarli. Oggi che la lotta fra le classi si caratterizza per modalità ideologicamente più raffinate, da affiancare a quelle fisicamente più tradizionali, il caporale di allora ha dato il posto alle Agenzie. Solo che allora i socialisti si impegnarono a creare le cooperative in opposizione agli appaltatori di manodopera. Al contrario, non pare esistere oggi un movimento capace di costruire qualcosa di analogo. Anzi, quello che oggi in certo senso usurpa il nome di “movimento cooperativo” è entrato a pieno nella logica del neocaporalato.
http://www.manutencoop.coop/lavoro_presentazione.asp
E, se ieri la centralità del lavoro e la dignità dei lavoratori erano il sangue che scorreva nelle vene di socialisti e anarchici di qualsiasi corrente, oggi non è più così. Non basta più dire sinistra perché un lavoratore si senta in qualche modo rassicurato. Di uguaglianza non si parla più, la libertà è ormai solo quella dei forti e la fratellanza… Chi l’ha vista?
Luciano Gallino nel 2009 intitolava un suo libro, “Il lavoro non è una merce” (Laterza). Ma Manutencoop – solo un esempio, niente di personale con loro – il lavoro lo vende, pur appartenendo alla Lega Coop, la quale fa parte dell’area di centrosinistra.
Ieri pomeriggio nel centro di Bologna è sfilata una manifestazione di solidarietà con dei lavoratori licenziati. Le particolarità erano due.
1. La controparte può legalmente sostenere non trattarsi di licenziamento ma solo di mancato rinnovo del contratto (di tre mesi in tre mesi).
2. Questi cattivacci di padroni non sono retrivi esponenti di un vecchio ceto di industriali reazionari, ma cooperative della Lega che lavorano per Granarolo, quelli che circuiscono e subornano i bambini con la mucca Lola, ma poi si viene a sapere che il loro latte non è, come dicono, interamente italiano. http://www.giornalettismo.com/archives/73807/altro-lola-codacons-denuncia/
Come ciliegina sulla torta, pardon sul torto, stiamo parlando anche di lavoratori stranieri.
Ebbene, come vedono la cosa le forze e l’opinione di centrosinistra in città? Al momento registriamo solamente le prese di posizione di Valerio Evangelisti e di Wu Ming. Il resto è kultura o addirittura qultura.
Eppure ciò che si vede dovrebbe essere chiaro. Qui a parlare di emancipazione siamo sempre meno. E così come ho cominciato, chiudo con un’annotazione etimologica pertinente. L’antica famiglia romana era costituita, oltre che dal “pater”, da “liberi” e “mancipia”. Quest’ultimo termine, che traduciamo correntemente con “schiavi”, era di genere neutro (né maschile né femminile); come a sottolineare che solo i padroni avevano diritto ad un’appartenenza di sesso e di genere. Del resto, si sa, gli schiavi per definizione non sono padroni nemmeno della propria persona, che può essere venduta e comprata alla stregua di ogni altra merce. La lotta per l’”emancipazione” ha significato nei secoli lo sforzo per sottrarre tanti esseri umani, di entrambi i generi, alla condizione di “Mancipium”. Oggi gli esseri umani li si somministra, ossia li si rende servi. E questa pare la direzione della storia se un movimento non prenderà coscienza e non cercherà di indirizzarla diversamente.
Carlo Loiodice