La guerra dei certificati medici
L’intervento dell’avv. Roberto Rendina
L’intervento dell’avv. Roberto Rendina
Ringrazio innanzitutto chi mi ha permesso di entrare nella propria casa, a dimostrazione che credere fortemente nell’associazionismo, indipendentemente dall’Organismo di appartenenza, significa anche fare squadra nei momenti più difficili. Come questo.
Dopo gli interventi del Proff. Martinelli e dell’amico collega, nonchè brillantissimo ospite, Dalle Nogare ritengo vi sia ben poco da aggiungere avendoci chiaramente esposto il problema ed offerto esaustiva risposta a fronte dei dubbi e delle perplessità relativamente ad una normativa ancora una volta “calata dall’alto”.
Anch’io mi sono confrontato a lungo con amici, affiliati, medici e sportivi in generale i quali mi domandavano cosa fare oggi dinnanzi ad una nomenclatura tutta nuova, spartiacque fra un obbligo di legge e non.
Un rincorrersi di domande, risposte azzardate e chiarimenti. Non utlimo la recente nota Ministeriale del 13/09 nella quale si legge che la “volontà del legislatore non era finalizzata a modificare l’assetto vigente, per quanto attiene la figura del medico certificatore”. Fin qui tutto bene ma niente più di una mera rassicurazione, se ve ne fosse stato bisogno, che la certificazione è di competenza esclusiva degli ordini professionali nella loro qualifica di pediatri, medici di base o dello sport.
Il Ministro quindi prosegue enunciando che la normativa è volta ad “eliminare un onere amministrativo, con i relativi riflessi economici, gravante sui cittadini che si avvicinano alla prativa sportiva amatoriale. Ciò anche al fine di rendere più semplice l’accesso a tale pratica.”
Laddove si fa un gran parlare di “sconti”, “risparmio” e minor impatto fiscale sul cittadino bisognerebbe sicuramente esultare, ma il punto non sembra essere questo. Non possiamo più infatti tollerare che un diritto fondamentale (e costituzionalmente garantito) come quello alla salute venga artatamente sottratto al cittadino sotto le mentite spoglie di un beneficio in termini economici che, inutile illudersi, non ci sarà. Si perchè se da un lato è poco credibile che un “animale sociale” come l’uomo, passatemi l’espressione, che intenda avvicinarsi ad una qualsiasi attività motoria (camminata nel bosco, corsa in bicicletta, nuotata al largo), non intenda muoversi in un contesto organizzato, è altresì impensabile che l’avvicinarsi ad un’attività ludico motoria (recticus amatoriale) non sia ingenerata proprio dalla voglia o necessità di ottenere un beneficio fisico, nella stragrande maggioranza dei casi, suggerito proprio dal medico curante.
A questo punto, dopo il mercantismo, vi è un’altra parola che salta agli occhi : deresponsabilizzazione. In un contesto dove il legislatore si è fatto carico in concreto del problema del crescente e preoccupante contenzioso giudiziario relativo alla responsabilità medica con soluzioni certamente opinabili ma comunque concrete e specifiche (vedasi articolo 3 della c.d. legge Balduzzi) vi è da domandarsi quindi perchè non sia stato ancora attuato un piano nazionale di convenzioni fra Ministero della Salute, Enti e Federazioni che preveda una tutela sanitaria in ambito sportivo garantita e gratuita a tutti i livelli al fine di implementare “il buono stile di vita”, piuttosto che politiche accerchiatrici nei confronti degli operatori dello sport sui quali, di fatto, viene oltretutto delegata la sanità all’interno degli impianti di gioco. In tutto qesto stravolgimento di ruoli, ritengo invero che gli Enti ancora una volta risultino gli unici soggetti che possano far coesistere la tutela dello sportivo, amatoriale o agonista che sia, e la promozione dell’attività motoria a costi accessibili in quanto realmente e concretamente vicini alle realtà sportive ed alle loro reali esigenze, anche grazie a convenzioni locali studiate ad hoc con strutture ambulatoriali private e non.
Un dialogo che spero possa interessare tutti, ampliando le voci senza sussurri o non detti. Un dialogo al quale spero di poter contribuire, magari come una voce fuori dal coro.
Avv. Paolo Rendina – vicepresidente CSEN provinciale e responsabile area legale
Guido Martinelli risponde a Roberto Dalle Nogare
Caro Roberto, intanto ti ringrazio di aver dedicato proprio a me queste tue note. Ti anticipo che sono d’accordo su quasi tutto quello che affermi.
Su questo tema ho letto in questi giorni parecchi interventi, la maggior parte dei quali legati a presupposti di carattere economico o comunque mercantile (i certificati costano, i medici non lo rilasciano, i “clienti” sono infastiditi da questa richiesta dei certificati) e, pertanto, estranei ad una pacata discussione di carattere giuridico.
Consentimi inizialmente una provocazione. I certificati sono perfettamente inutili in tutti quei casi in cui l’attività non produce eventi lesivi (infortuni, malori, ecc.), sono “quasi” indispensabili in tutti quei casi in cui un soggetto inserito in un contesto organizzato (palestra, piscina, pista, ecc.) ha, invece un evento lesivo durante l’attività.
Sul chiaro presupposto che l’evento non sia prevedibile ma precisato con assoluta chiarezza che, nella maggior parte dei casi in cui non ci sia attività agonistica, non vi è dubbio che tra il partecipante all’attività e l’organizzatore della stessa si instaura un rapporto contrattuale e, pertanto, se per “colpa” del centro sportivo una mia patologia si aggravasse (magari proprio perchè l’istruttore non era a conoscenza della patologia medesima) ci troveremo di fronte, oltre che ai principi generali della responsabilità aquiliana, anche a quella di natura contrattuale. Solo la previa esistenza del certificato potrà, sussistendone i presupposti, ridurre il rischio del risarcimento.
Detto, quindi, che il certificato sempre e comunque è da intendersi come “buona pratica” da seguire in caso di organizzazione di attività motoria in favore di terzi, vediamo ora di entrare più nel merito delle norme che Tu commenti e che non sto qui a ripetere.
Ormai siamo tutti bravi: attività agonistica: certificato del medico sportivo inerente la disciplina praticata; attività non agonistica: certificato del medico di base o del pediatra o del medico sportivo di idoneità generica; attività ludico – motoria o amatoriale (faccio fatica a leggerci quella sottile differenza tra i due termini che Tu sottolinei) nessun certificato salvo che non sia di particolare intensità.
Dimenticando l’attività agonistica che non presente innovazioni, cerchiamo di capire qualcosa di più nel discrimine tra attività non agonistica e attività amatoriale (che per me è da intendersi come sinonimo di quella ludico – motoria). La maggior parte dei commentatori la riscontra nel tesseramento ad una Federazione o ad un ente di promozione sportiva. Se io faccio attività organizzata, tesserandomi, per un ente di promozione sportiva faccio attività non agonistica, se non mi tessero faccio attività ludico – motoria?
Non credo che questa sia la risposta corretta perchè consentirebbe di dire che il corso di nuoto fatto dalla società profit non richiede il certificato e il medesimo corso fatto da una ASd invece si?
D’altro canto l’art. 3 del decreto, quando individua i non agonisti non fa ad esempio alcun riferimento al tesseramento ma solo all’organizzazione dell’attività da parte di un soggetto dell’ordinamento sportivo.
Io credo che il confine tra attività amatoriale e sportiva non agonistica debba essere vista proprio nel termine “sportiva”, presenta in un caso e assente nell’altro. Il termine di sport è collegato alla competizione e il non agonistico non può che riferirsi alla “preparazione alla competizione”
Ne deriva che in tutti quei casi in cui l’attività svolta sia “propedeutica” ad una futura pratica “agonistica” si dovrà parlare di attività sportiva non agonistica, negli altri casi di attività amatoriale. In questa logica (e so che i miei amici delle Federazioni non saranno contenti di questa affermazione) sarà più facile individuare una area di attività amatoriale tra gli enti di promozione che tra le Federazioni sportive nazionali, almeno sulla loro mission attuale.
Al fine di meglio e ulteriormente chiarire questo a mio avviso sarà necessario che la Regione Emilia Romagna si pronunci in merito (e mi risulta da elementi certi che è imminente la pubblicazione di un documento in tal senso) e che le Federazioni e gli enti di promozione sportiva distinguano i loro tesseramenti affinchè il “cartellino” rilasciato agli amatori non consenta loro, per alcuno motivo o ragione, una pratica competitiva.
Quindi non il tesseramento all’ente come scriminante ma “quel” tipo di tesseramento o meno.
spero di aver chiarito a sufficienza il mio pensiero.
Un caro saluto
Avv. Guido Martinelli
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Caro Guido,
ho appena partecipato all’annuale assemblea dei circoli e delle asd dell’AICS di Bologna e non ho bisogno di scriverti che l’argomento centrale della discussione è stato la certificazione medica di chi fa attività sportiva.
Ho provato a chiarire ai partecipanti chi è tenuto a certificare il proprio stato di salute e chi è esentato, ma mentre parlavo aumentavano i dubbi che sono nati dalla lettura del decreto Balduzzi-Gnudi, pubblicato sulla G.U. alla fine di luglio, e dell’art. 42 bis del cd. decreto del fare. Ecco la ragione per la quale ti scrivo: non ho perso l’abitudine di confrontare i miei dubbi con quelli di amici e colleghi competenti come te, per vedere se possiamo trovare, non dico soluzioni, ma almeno percorsi da suggerire alle “nostre” asd. Ecco, infine, perché ho formulato questa mia a te in forma di lettera aperta.
Una prima considerazione giuridica, che ha implicazioni pratiche, è la diversificazione che viene introdotta dall’art. 42 bis. Recita l’articolo in questione che non è necessario il certificato medico per chi svolge attività ludico-motoria e amatoriale. Il decreto Balduzzi-Gnudi, però non dà una definizione distinta delle due attività: l’art. 2 co. 1 del citato decreto definisce la sola attività amatoriale come attività ludico-motoria. Sembra che ci sia una attività ludico-motoria in senso proprio, tratteggiata nelle lettere a), c) e forse b) del comma 5 dell’art. 2 ed una di carattere amatoriale definita dal primo comma dello stesso art. 2. Rafforzerebbe questa ipotesi il fatto che, per l’attività ludico-motoria che chiamo “propria”, il decreto non obbligava a certificare il proprio stato di salute, mentre, per quella amatoriale, a luglio il certificato era obbligatorio e a settembre, con l’approvazione dell’art. 42 bis, veniva soppresso.
L’attività ludico-motoria, sempre di più collegata al gesto sportivo, è un fenomeno in forte e progressivo aumento da diversi anni: è diventato uno stile di vita orientata al benessere ed alla salute della persona. Se ragioniamo su quella distinzione che ho accennato prima, allora possiamo dire che, oltre ai praticanti le discipline sportive indicate alla lettera c) di quel quinto comma dell’art. 2, non sono tenuti all’obbligo della certificazione chi corre nel parco, nuota nel mare, si muove con i pattini, lo skate o la bicicletta. In sostanza, è lasciato al libero arbitrio di chi svolge attività motoria (si spera anche ludica) individuale, con una certa continuità e non regolamentata, tenere sotto controllo il proprio fisico e, conseguentemente, è personalmente responsabile di ciò che produce lo sforzo prolungato e non controllato dell’attività praticata.
Parzialmente diverso è il ragionamento nel caso in cui la pratica motorio-sportiva, individuale o collettiva, sia esercitata in contesti autorizzati e organizzati. Se vado a nuotare in piscina, pago un biglietto. Se prenoto un campo per giocare a calcetto con amici o colleghi di lavoro, pago un affitto. Se frequento una palestra una volta ogni tanto, verso una quota. Questa casistica sembra quella prevista alla lettera b) del comma 5 dell’art. 2 che non richiede il certificato. Ma quali precauzioni deve adottare il gestore di un “contesto” per l’esercizio di attività sportiva? E perché? Mi soffermo brevemente su questo aspetto perché sono diverse le asd che sono proprietarie o gestiscono centri sportivi.
In primo luogo, il gestore deve usare le precauzioni perché la struttura non sia causa di un danno nei confronti di un praticante: la manutenzione costante e le regole di uso dell’impianto sportivo sono comportamenti prescritti (e si spera applicati) da tempo.
Secondariamente, il gestore deve fornire garanzie, con proprio personale, che l’attività motoria sia fruita in piena sicurezza: l’addetto al salvamento a bordo vasca, l’istruttore per l’attrezzistica in palestra, sono figure che, tradizionalmente accompagnano la nostra occasionale attività sportiva e la loro attenzione e sorveglianza è una condizione essenziale per prevenire incidenti.
Da ultimo, ed in questo caso con la previsione legislativa del recente decreto Balduzzi-Gnudi, quando sarà operante l’obbligo del defibrillatore, il gestore dovrà rispettare (o far rispettare se l’obbligo sarà in capo alle asd che usano la struttura sportiva) tutte le prescrizioni necessarie per intervenire in caso di malore di origine cardiaca.
Tutto questo perché il rapporto instaurato tra l’occasionale frequentatore della struttura sportiva ed il gestore genera un vero e proprio contratto, con tutte le conseguenze in termini di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Ma come si deve comportare una asd che tra i suoi fini ha l’attività sportiva intesa anche come promozione del benessere psico fisico della persona? O più concretamente: l’asd che organizza corsi di fitness in acqua o in palestra, una manifestazione sportiva, gara o saggio di fine corso o stagione, deve richiedere il certificato medico all’amatore? L’art. 42 bis ci dice che è soppresso l’obbligo di certificazione per l’attività ludico-motoria e amatoriale così come invece previsto dai provvedimenti emanati nel settembre 2012 e luglio 2013.
Secondo la definizione dello stracitato art. 2 co. 1, in una asd è possibile:
a) che si svolga anche attività ludico-motoria;
b) che lo si consenta in forma individuale o collettiva;
c) che non sia occasionale.
Ma ciò non è sufficiente, perchè l’attività amatoriale per essere tale prevede l’esistenza di altre due condizioni e la sua definizione, così formulata, richiede che tutte le caratteristiche indicate siano presenti.
Una di queste condizioni è che gli amatori non devono essere tesserati alle FSN, alle loro Discipline Associate o EPS. Credo sia raro, se non impossibile, che una asd non abbia un rapporto di affiliazione con uno di questi Enti. E tale rapporto genera quella particolare forma di adesione individuale che è il tesseramento del singolo praticante.
Ancora: la seconda condizione è che gli amatori non devono sottostare ad attività sportiva regolamentata da organismi sportivi. Tradotto, significa che ogni gara, torneo o campionato, competitivo o meno, esclude un’attività amatoriale.
Il tam tam della deresponsabilizzazione suona verso una soluzione molto pericolosa che dice: non tesserate alla Federazione o Ente di appartenenza i vostri praticanti l’attività amatoriale. Siano solo soci della asd, senza vincolo con gli Enti sportivi a cui sono affiliati. Ma quali implicazioni o complicazioni comporta questa facile (per gli altri) soluzione? Ci sarà o quale sarà la copertura assicurativa che normalmente accompagna il tesseramento ad un Ente di Promozione o ad una Federazione Sportiva? Come sarà qualificata l’attività ludico-motoria? L’asd che la promuove sarà considerata ancora soggetto esercente attività no profit o assumerà la qualificazione di ente commerciale? Ed i rimborsi erogati agli istruttori dell’attività amatoriale, saranno sempre considerati come rimborsi per attività sportiva dilettantistica e quindi non cumulabili o assoggettabili alla tassazione sui redditi?
Altrettanto difficile risulta essere la gestione del rapporto con i medici di base che chiedono un corrispettivo per la redazione del certificato ad uso sportivo, anche per l’attività amatoriale. Continuo sommessamente ad avere dubbi sulla onerosità di questa prestazione da parte di un medico che dovrebbe conoscere le condizioni di salute della persona richiedente essendo un suo paziente. Ma tant’è: rimango con il dubbio.
Cosa possiamo, allora, caro Guido, dire ai nostri presidenti di società sportive, ai dirigenti che compongono i consigli direttivi dei sodalizi sportivi?
Si potrebbe suggerire alla Regione (che ha una competenza concorrente con quella statuale in materia) di classificare per disciplina sportiva e per tipo di gesto o pratica sportiva, l’attività amatoriale?
Oppure, si potrebbe suggerire agli EPS, di distinguere, nell’ambito del rapporto associativo, l’attività propriamente sportiva (agonistica e non) da quella amatoriale, che assume caratteristiche sempre più ricreative?
Attendo con grandissimo interesse la tua opinione. Con stima e amicizia
Roberto Dalle Nogare